163 // Periplo delle Repubbliche Marinare // Cap. 1 // Venezia

Periplo delle Repubbliche Marinare

Un viaggio nell’epoca della chiusura dei porti

Da Venezia ad Amalfi, attraverso Firenze, Pisa, Livorno,

Genova, Milano, Monselice e chiudendo il primo cerchio a Venezia

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di G. Asmundo

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Premessa

Questo progetto di viaggio/libro nasce da un’indignazione iniziale e da successive riflessioni, come desiderio di risposta civile alle politiche neorazziste e neopopuliste alle quali assistiamo, ma soprattutto alla disumanizzazione dilagante tanto nel mondo reale quanto nella sua risacca virtuale.

Il giorno prima di una partenza per la partecipazione a un convegno che si sarebbe tenuto a Livorno, straordinario porto franco del Mediterraneo, si è affacciata alla mente un’idea che mi ha subito entusiasmato. Un periplo delle Repubbliche Marinare, iniziato ad aprile 2018 e tuttora in corso.

Ho sentito l’impellente desiderio di costruire un itinerario di viaggio e rilettura della realtà che tentasse di restituire una precisa presa di posizione e un’immagine della complessità attuale. E man mano che attraversavo l’Italia, sentivo l’urgenza di narrarne i porti aperti, antichi quanto contemporanei, in un’epoca che li vorrebbe chiusi.

Un viaggio su mezzi lenti e a piedi, riflessivo e quanto più possibile attento, il quale – tra un intero taccuino di appunti e centinaia di fotografie – si è presto trasformato in un reportage in forma di racconto.

Viaggiavo tra le polemiche mediatiche legate all’Aquarius e alle ONG di soccorso nel Mediterraneo, al censimento dei Rom, alle dichiarazioni sulla scorta di Roberto Saviano et similia. Sono partito vestendo l’umore degli ultimi mesi, desolanti e disarmanti dal punto di vista politico e sociale; ma sono tornato rincuorato dalle realtà attraversate.

Adesso, dunque, sento la necessità di trasmettere ad altri il senso di apertura provato dopo settimane di avvilimento politico, né mitizzando né demistificando, semplicemente raccontando una storia. Trascriverò il mio taccuino per capitoli, come un libro. Consapevole dei limiti di una visione parziale, ma spero il più possibile approfondita e disincantata; di certo sincera.

Ringrazio di cuore le amiche e gli amici senza i quali questo periplo non sarebbe stato possibile.

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Nota: tutti i testi e le foto del presente reportage sono di Giovanni Asmundo, riutilizzabili in copyleft (*vedere Nota) ma con obbligo di citazione dell’autore e della fonte, preferibilmente corredata da link.

Capitolo I

16.06.2018

Venezia

Ebbene, prende corpo questa nuova avventura, ricevuti i migliori auspici di vento in poppa. Levo l’ancora e salpo a gonfie vele.

L’idea del periplo ha preso forma parlando con F. prima di una traversata da San Giuliano al Lido (la collina aromatica, la luce che si specchia sulle acque della laguna e sul rame dei campanili). E si è concretizzata fra il tramonto e il crepuscolo, nei pressi della bocca di porto di San Nicolò, parlando con D., C. e P., quando, piuttosto affaticato dalla giornata, seduto sul bordo del canale, i colori arancio e viola del sole morente tingevano le due acque mescolate del mare e della laguna, scolpendo le nuvole più terse che avessi mai visto in estate a Venezia. Tra giorno e notte, tra passato e futuro, con le palme delle mani aperte sulla pietra d’Istria che rilasciava il suo calore, confine tiepido e morbido tra terra e acqua, tra due sponde d’Adriatico, condizione liminale racchiusa già nella massa carbonata e bianca di sole e di tempo.

Qui, all’ultimo lembo di mondo, in finis terrae. Di fronte alla cupola di San Pietro di Castello, alla bocca dell’Arsenale che non accoglie più galeazze ma è confluenza di opere d’arte e d’architettura, un delta di flussi d’idee nel mondo globale; poco discoste altre bocche, le fauci dei leoni e dei cannoni del forte Sant’Andrea, con la sua porta di mare di Sanmicheli che si ricongiunge idealmente con la Porta di Terraferma di Zara. E alle mie spalle la caserma Pepe, ritaglio quadrato di luna e stelle, accampamento popolato di fantasmi; e le dune buie e la spiaggia fresca di brezza, su cui brillano i brocchieri dei crociati moderni, in attesa di salpare per la battaglia di Lepanto. Non prima, tuttavia, di avere trascorso dei mesi nel porto di Messina, insieme a tutte le flotte del Mediterraneo europeo che si apprestavano allo scontro con quello asiatico, eterno destino dal finale di tragedia eschilea. Il grande carenaggio di Messina, storia poco narrata, occasione eccezionale e irripetibile per la mescolanza di canti, sapori, lingue.

Messina. Per una curiosa coincidenza, oggi ho ricevuto delle belle foto di Scilla e Cariddi, con una carontica nave-traghetto diretta al porto di Zancle omerica, sicula e greca, poi divenuta la Messene degli stratigoti, cuore dei commerci mediterranei e delle loro contaminazioni prima dell’avvento delle Repubbliche Marinare.

Ammiccano le stelle sul bianco campanile codussiano di San Pietro, che a sua volta ammicca al faro di Alessandria. Accanto a noi quello di San Nicolò che, illuminato, ricorda la funzione di landmark alla bocca di porto per i naviganti da accogliere, mi riporta alla mente il campanile-faro di Madonna dell’Angelo a Caorle, di qua dal fiume e dagli alberi, faro laggiù ancora in uso, lambito dalle spume ed eroso dalla brezza salsa. Quante ignote Madonne lignee giunte dal mare, quanti Santi in casse di legno o nascosti in carene! Sbarcati sui lidi delle coste bizantine dell’Adriatico, dell’Egeo, del Tirreno… vorrei leggerli quali metafore della sacralità dell’approdo, della corporeità del legno naufragato.

E poi il ritorno tiepido nella notte, dalla bocca di leone marina della Serenissima verso le isole e il periplo nascente. Nei giorni dell’Aquarius, del furente dissociarmi dalla propaganda antisoccorsi e antiaccoglienza del Governo e della folla neorazzista, man mano che lo progetto e lo improvviso, quello che ho iniziato mi appare un viaggio sempre più simbolico.

Sento il mare, la sua risacca, mi accontento della laguna placida sul vaporetto a luci spente; e poi la notte, da un tavolino di fronte a bronzi, marmi e ori antichi, seguendo il primo raggio di un’alba nuova.

Un’alba che bagna le colonne d’Ercole della Piazzetta, scolpisce le statue di San Teodoro e San Marco, drago e leone, la porta del mare e dei plurimi Occidenti, così come del Levante e del vasto e lontano Oriente. Sciabordano le onde sotto le gondole odierne e scricchiolano le cime degli scomparsi mercantili ormeggiati, in quest’ora pre-turistica, mentre si affievoliscono le voci dalmate, armene, ebree, tedesche, egiziane, greche, siriane, ungheresi, olandesi e turche, sulla Riva dei Schiavoni, tra casse e animali, fango e preziosi, tra pittori, mercanti, marinai e scaricatori giunti da ogni dove. Le catene sul Canal Grande sono slacciate, il libro è aperto tra le zampe del leone, pax tibi Marce eccetera, il Santo è addormentato sulle barene, tra i canali salmastri di un paesaggio vuoto, silente, intonso.

Con la luce ignota che scivola sulle colonne giungo da Istanbul, Costantinopoli, Nea Roma, Ilio, Atlantide. Dal confine spalancato alla brezza di ogni mare e alterità, salpo idealmente, ancora una volta.

(Cliccare qui per il capitolo secondo)

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