385 // PEACE IN GAZA AND RAFAH // CALL-ARTICOLO APERTO // CALL-OPEN ARTICLE // APPEL-ARTICLE OUVERT

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ITA

Lanciamo con urgenza un appello e una call, data la tragedia umanitaria a Gaza e l’imminente attacco via terra a Rafah (dove si sono rifugiati 1,4 milioni di persone sfollate da tutta Gaza e lì concentrate) che sembrerebbe impossibile da scongiurare: per il cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi, la distribuzione in massa di aiuti umanitari, nonché la de-escalation e la costruzione di soluzioni territoriali di pace eque e durature con il concreto sostegno dalla Comunità Internazionale.

E contro l’indifferenza, lanciamo una call immediata per contributi, per levare anche qui e nel minor tempo ogni voce possibile: questo stesso articolo sarà aperto e collettivo, man mano che giungeranno i testi verranno pubblicati di seguito (inviare a cantiereperipli@gmail.com).

Per ogni contributo ricevuto, effettueremo inoltre una donazione a Emergency.

G. Asmundo e la Redazione

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ENG

We urgently launch an appeal and a call, given the humanitarian tragedy in Gaza and the imminent land attack on Rafah (where 1.4 million people displaced from all over Gaza have taken refuge and are concentrated) which would seem impossible to avoid: for the immediate ceasefire, the release of hostages, the mass distribution of humanitarian aid, as well as the de-escalation and the construction of fair and lasting territorial peace solutions with the concrete support of the International Community.

And against indifference, we launch an immediate call for contributions, to move every voice here too, and in the shortest time possible: this article will be open and collective, as the texts arrive they will be published below (send to cantiereperipli@gmail.com).

For every contribution received, we will also make a donation to Emergency.

G. Asmundo and the Editorial Staff

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FRA

Nous lançons de toute urgence un appel et une call, concernant la tragédie humanitaire à Gaza et l’attaque imminente par voie terrestre à Rafah (où il y a 1,4 million de réfugiés de tout Gaza et la bas concentré) qui semblent impossibles à prévenir : pour qu’ils cessent le feu immédiat, le libération des ostages, la distribution en masse des secours humanitaires, ainsi que la désescalade et la construction de solutions territoriales de rythme et de durée avec le soutien concret de la Communauté Internationale.

Et contre l’indifférence, nous lançons ici aussi un appel immédiat pour contribuer, pour lever, et dans le temps mineur, toutes les voix possibles : cet article sera ouvert et collectif, les textes seront publiés progressivement par la suite (envoyé à cantiereperipli@gmail. com).

Pour chaque contribution reçue, nous ferons un don à Emergency.

G. Asmundo e la Rédaction

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Photo Credit: https://agenziafotogramma.it/

La realizzazione di un incubo

di Marta Paolantonio

La realizzazione di un incubo: quando ciò che più temi accade inesorabilmente sotto i tuoi occhi. È quello che sta succedendo ai palestinesi a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Accampati in condizioni disastrose si vedono circondare da carri armati israeliani, pronti a fare fuoco per stanare il capo militare di Hamas, Yahya Sinwar; questo senza considerare il monito dell’occidente, che prevede un tempo di 4 – 5 settimane per l’evacuazione degli sfollati che, stando alle stime dell’ANSA, sono oltre un milione. Contemporaneamente, l’esercito israeliano si prepara ad un offensiva contro gli iraniani di Hezbollah, dopo che il nord di Israele è stato preso di mira dai suoi razzi provenienti dal sud del Libano. La guerra, per Israele, è su due fronti.

Nei dintorni degli ospedali di Gaza sono state ritrovate fosse comuni, e il pensiero non può che tornare ai campi di sterminio nazisti. La pace è sempre più un miraggio, la guerra sempre più vicina. L’orrore è ormai pane quotidiano.

In questo clima di odio e di indifferenza, vi invitiamo ad esprimere il vostro dissenso in qualsiasi forma: scrittura, fotografia, pittura, tutto ciò che preferite. Abbiamo bisogno, ora più che mai di far sentire la nostra voce e noi vogliamo farlo attraverso questo spazio democratico e plurale che è il blog Peripli.

Per questo intendo condividere con voi due poesie da me scritte. Sono dedicate ai sognatori che come noi vogliono la pace e la perseguono tutti i giorni, nei piccoli gesti quotidiani.

Confini inesistenti

Quando viviamo
la nostra vita quotidiana
ci rendiamo conto
dell’esistenza di
questi confini
che ci dividono:
come popoli, identità.
Ma appena la morte
incede con le sue guerre,
le ingiustizie,
le barbarie,
questi labili confini scompaiono
e diventano aperture,
comunione di speranze, di visioni
che si intrecciano formando
un disegno cosmico di pace
e solidarietà.
Solo i sognatori possono compiere
il miracolo della vita:
dimenticare i confini
per donarsi, finalmente, alla storia.

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Forza, compagni!

Fratelli e sorelle
che lottate per la vostra terra,
per poter vivere in pace
coi vostri fratelli e le vostre sorelle:
noi sosteniamo la vostra battaglia.
Possiamo immaginare cosa significhi
vedere la propria terra stuprata,
la propria storia, identità,
la propria vita calpestata dai potenti.
La Storia è la nostra storia
e scorre nelle nostre vene.
Lo abbiamo vissuto anche noi,
i nostri partigiani
che liberarono una terra occupata vilmente
dal regime nazifascista;
hanno dato la vita per la libertà.
Festeggiamo il 25 Aprile anche oggi,
che è il 26,
e lo faremo con voi presto,
abbracciandoci liberi dal giogo della dittatura.
Non siete soli.
Forza, compagni!

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La terra devastata

di Lucia Guidorizzi

Pietre, macerie, rovine, ci giungono dall’etere un mucchio d’immagini frante. Una donna velata culla, devastata dal dolore, un corpicino esanime avvolto in un sudario. Ogni giorno vediamo lo strazio immenso di un paese distrutto, polverizzato, annientato. La regista tedesca Margarethe Von Trotta, intervistata quest’anno a Incroci di Civiltà a Venezia, ha detto che le immagini che ci arrivano in questi giorni le fanno ricordare la Germania distrutta della sua infanzia. La tragedia che si sta compiendo è di una tale portata che non possiamo rimanere impotenti. La rabbia e l’indignazione montano dentro di noi come una marea inarrestabile, ma forse dovremmo cercare di mantenere davanti a tutto questo orrore un atteggiamento imparziale, l’unico capace di tenerci al di fuori da ogni reazione e rappresaglia istintiva. I comportamenti reattivi incrementano il male, così come questa spirale di violenza e devastazione. Spezzare il cerchio di un comportamento influenzato dall’emotività, significa diventare capaci di comprendere, imparare a identificarsi con la sofferenza di ogni singolo in virtù della compassione (non intesa come mero esercizio di pietà, ma come il saper vibrare all’unisono con la sofferenza altrui) consiste nell’accorgersi di quanto siamo condizionati da comportamenti impulsivi e sapersi tirare indietro, spezzando la coazione a ripetere della violenza .

La pace può realizzarsi soltanto con un profondo, radicale, cambiamento del punto di vista.

Confluenza dei due mari

Non troverò riposo né quiete
Fino a quando non giungerò
Alla confluenza dei due mari
Lì dove gli uomini non sono
Né ebrei né palestinesi
Ma solo carne che soffre

Il dolore di questa umanità
Dipende da ciò che sono stati
Nomadi e pastori di capre
In una terra arida

Sapere e conoscenza
Accumulati in secoli
Di lotte e distruzioni
Non hanno insegnato nulla
Il dolore trascende dai ruoli
E dalle parti

Essere ancora lacerati
Come al tempo in cui
Agar e Ismaele
Furono cacciati
A morire nel deserto

Ma in loro salvezza
Giunse l’Angelo
A indicare una sorgente
Imperscrutabile è il disegno
Che conduce alla salvezza

Dopo il deserto e le acque
Dopo la morte e lo strazio
Su tutte queste macerie
Tornerà ancora a spirare
Un soffio lieve di vento

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Nel gorgo di Ares

di Lucia Guidorizzi

Bidimensionale 30X30 cm
Tecnica: collage/cut up
L’opera è la fusione quattro mie poesie e rappresenta il vortice generato dalla violenza divisiva di Ares. Il cuore si trova al centro di questo gorgo di dolore, trafitto da sette spade, come quello dell’Addolorata, ma può anche trasformarsi in athanor alchemico di rigenerazione.

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Io sono terrona – intervento per “Radici di Pace”, Roma, 28.04.2024

di Valentina di Stefano

Salve a tutti, sono qui a dirvi che io sono terrona.

Sono terrona, nel senso che provengo dalla Terronia, quella terra che, secondo alcuni nord-auto-titolati, si trova da Firenze in giù. 

In realtà il mio sangue è un guazzabuglio, come quello della maggioranza degli italiani, come quello della maggioranza dei popoli.

Pugliese per nascita, metà campana, metà abruzzese (anche queste metà per nascita).

Se guardo lontano sono un quarto ciociara, un quarto lucana, un quarto molisana, un quarto pugliese, ma se guardo ancora più lontano sono per un ottavo ligure e gli altri ottavi vai a sapere!

Allora il mio ottavo di sangue ligure mi rende nordica? Per alcuni no, perché prevale il mio sangue sudicio, nel senso di abitante del sud; ma tanti dimenticano che si è sempre al sud di qualcun altro.

Qual è la mia appartenenza, mi chiedo? 

Sono sicuramente italiana, sempre ammesso che l’Italia esista e comincio a dubitarne;

sicuramente sono europea, ma anche questa definizione è abbastanza astratta.

Sono bianca ma bravi maestri mi hanno insegnato che bianco è un non-colore, così come il nero, allora ho deciso di essere arcobaleno che riempie il cielo ed indica la via verso il tesoro dei lepricani.

Conta quello che sento, conta solo quello che decido di essere.

Mi sento cittadina del mondo e non voglio barriere, non mi riconosco in alcuna religione, non mi riconosco in alcuna patria né alcuna nazione; sono africana, sono araba, sono asiatica, sono perfino indo-pacifica.

Pacifica nel senso che l’unica appartenenza che riconosco è quella al genere umano e ciò rende ogni persona mia sorella, tutti sono la mia famiglia.

Stessi sguardi, stessi abbracci, stesse lacrime, stesso sangue, stesso dolore, stesso destino. Tutti dobbiamo morire e ce ne dimentichiamo: moriremo ma non deve succedere per mano del fratello, né per mano della sorella, del padre, della madre. 

Avremmo già dovuto imparare, noi esseri sedicentisenzienti, ad abbandonare le ideologie nazionaliste del novecento, e invece eccoci qua alle prese con nuove guerre e nuove occupazioni, che poi sono sempre le vecchie guerre e le vecchie occupazioni.

No, io non ci sto, dissento con tutta l’anima a denti stretti.

Io appartengo a quella parte del genere umano che ripudia la guerra e che si riconosce negli occhi di chi ha accanto.

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appresa la memoria a strati dell’archeologo
tra residui fossili e muri marci mi muovo
operaio della memoria degli intrecci collettivi.
Da brevi soste felici traggo gli umori
delle tracce scollate per approssimazione
mi oriento in questo mondo umido di umori e funghi
in cui l’impronta strana degli insetti
riduce in mucillagine le mani.
Produce sordidi recessi nel pensiero
in cui si confondono,
colpevoli,
le identità del mondo.

*

univo sangue
a sudore amaro
sopravvivendo
ora,
imbrigliati gli angeli,
libera vado,
terribile e nuda,
di cruda verità
sono guerriera,
armata di parole
asintotiche

sassi aguzzi
si dia inizio alla
mia intifada

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Quattro lettere appena

di Angela Greco AnGre

Si confondono macerie. Umanità, case,
territori, stati, giorni e strade s’inseguono
nel ricordo di un altro tempo, quando cielo
era un garrire di rondini e non pianto. Crolla
il rifugio dell’illusoria salvezza e restano bui
sepolcri persino senza calce; pure alla mano
pietosa è impedito gesto, attenzione e segno.

Sono stata estratta viva dal corpo di mia madre
morente per morire appena più in là dell’alba,
senza nemmeno vedere la luce. Il mio nome ora
è lo stesso di ogni figlio sperato e perso in questo
presente indegno d’umanità. Trenta settimane
non sanno lottare contro i signori che pretendono
la propria ragione a qualsiasi costo. Mia sorella
avrà tre anni per sempre e giocheremo insieme
in un silenzio che sa di famiglia anche nel freddo.

Non c’è anestetico per operare sulle ferite a vista;
è stato impiegato tutto per chiudere gli occhi dei
vivi che sicuri seguono le sorti dietro uno schermo
sconfitti tutti senza nessuna distinzione che salvi.
Restano minimi brandelli, sogni, speranze, progetti
a bordo strada; poche cose, quattro lettere appena,
capaci soltanto insieme di nuova vita da costruire.

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Gli indifferenti

di Virginia Farina (Bologna)

Saremo noi oggi gli indifferenti a cui chiederanno il conto domani?
Saremo noi i quasi vivi confinati in una zona di interesse che dal Mediterraneo ci protegge fino alle montagne?
Saremo noi coloro che non hanno visto?
Che anche vedendo non hanno capito?
Che anche capendo non hanno potuto?
Che anche potendo non hanno voluto?
Coloro che la complessità è impronunciabile, che la ragione non sta da una parte soltanto, che anche i morti in fondo hanno sbagliato o dalla parte sbagliata del mondo si sono seduti?
Saremo noi la voce fioca della verità, la mano sulla bilancia ad alleggerire il peso, l’occhio che confonde il pugno col sasso con quello che stringe il fucile?
Saremo noi che smettiamo il lutto, che non piangiamo più i vecchi, che non crediamo alla madri, che ai piccoli della nostra specie neghiamo protezione se non hanno il nostro nome e lo stesso genoma?
Saremo noi quelli che la pace è bambina, che la tregua ingenua, che la sola difesa è perpetrare l’attacco, che il resto è lontano e tanto e ancora non ci riguarda?

Noi, noi che voltiamo la carta, che rigiriamo lo sguardo quando fa male
e non sappiamo neppure il veleno che andiamo ogni giorno accrescendo nel cuore.

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Alla Pietà di Gaza

Madre

Madre che non hai pace,
madre ammutolita e stanca
che pure hai saputo la vita
ed ora la piangi
sconfitta ed immobile
sopra il tuo grembo,
madre sotto le bombe china
a seminare i resti
della tua fame,
madre scalza nella tua casa sola
senza più mura né letti
senza più fuoco dove scaldare una cena,
piccola madre dei decapitati
dei sogni caduti in grappoli
come le mine,
madre delle mani spezzate
che hanno lavato l’ucciso
come il suo assassino,
madre sconfitta di un popolo
condannato al deserto,
madre che canti ancora una nenia
per cullare i vivi ed i morti
per i figli tutti
di questo umano cieco
che dietro o dentro una bara
comunque
avrà perduto la guerra.

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Risveglio

di Davide Cortese

Una mattina mi son svegliato
e non c’era più nulla da temere.
Una mattina mi son svegliato
e potevo essere semplicemente chi ero,
senza che nessuno mi negasse il suo sorriso,
senza essere percosso e offeso,
né maltrattato, né deriso, né ucciso
per ciò che ero senza averlo deciso.
Una mattina mi son svegliato
ed ero fiero di essere chi ero.
Ero nero senza apparire diverso,
ero gay senza apparire perverso,
ero ebreo, musulmano, senza aver perso
la gioia di essere ospite dell’universo.
Una mattina mi son svegliato
e per tutti ero semplicemente un uomo.
E per ciò che io ero: umano,
non c’era affatto da chiedere perdono.

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(Articolo aperto e in costruzione // a cura della Redazione)